Ci vuole quel tanto di coraggio che fa la differenza, a trattare un tema come l’assistenza e la tutela sanitaria nell’accoglienza dei migranti, di questi tempi. Ci vuole la lungimiranza del Rotary e dell’Inner Wheel per capire che il momento giusto per parlarne è adesso, quando temporali di parole si abbattono su chi affronta un simile tema, per bypassare i “prima gli italiani” o gli “aiutiamoli a casa loro” (cosa che il Rotary ha sempre fatto) e andare alla radice del problema umano, oltre la freddezza dei numeri e al fuoco delle polemiche.
È stata sicuramente una mattinata illuminante e chiarificatrice, oltre che emozionante, quella di sabato 2 marzo al Palazzo delle Opere Sociali di Vicenza, dove il Distretto 2060 Inner Wheel e il Distretto Rotary 2060 hanno proposto questo tema nell’annuale Forum congiunto. Nei suoi saluti introduttivi la Governatrice Inner Wheel Anna Paggiaro Tallon ha voluto ricordare che il nostro Paese è «il più bello del mondo anche perché, dal 1978, garantisce assistenza sanitaria a tutti, indistintamente», mentre il Governatore De Paola ha invitato ad «avvicinare questo tema delicato e importante con il cuore, oltre che con la ragione».
E così è stato, grazie soprattutto all’intervento del dott. Pietro Bartolo, responsabile del presidio sanitario e del poliambulatorio di Lampedusa, che dal 1992 si occupa delle prime visite ai migranti che sbarcano sull’isola. Da alcuni anni, ormai, Bartolo dedica le sue giornate libere dall’impegno medico a raccontare la sua esperienza in prima linea in Italia e in Europa, spinto dalla volontà di narrare il mondo dei migranti con lo sguardo di chi incrocia i loro occhi, indipendentemente da leggi, percentuali e ideologie. «Sono un medico, ho fatto un giuramento e voglio solo fare il medico curando ogni paziente con scrupolo e impegno» ha ricordato. Con grande precisione e passione ha narrato la sua esperienza di medico in quella che è considerata la porta dell’Europa, colui che fu in prima fila anche nei soccorsi ai sopravvissuti della strage del 3 ottobre 2013, quando le fiamme su un peschereccio carico di oltre 500 migranti causarono 368 vittime che, una a una, dovette ispezionare. «Dopo quel disastro è cambiato tutto – ha sottolineato – perché prima arrivavano le carrette del mare, barche fatiscenti ma che riuscivano ad affrontare la traversata. Poi, per paura delle requisizioni, i trafficanti di essere umani hanno iniziato a usare gommoni, che a spesso sono poco più di canotti gonfiabili, molto economici e altrettanto insicuri, spinti da un motore a benzina. Ed è a causa di quella benzina, che durante il viaggio si spande nell’imbarcazione, che le donne contraggono quella che io definisco la malattia del gommone: ustioni e piaghe provocate da una miscela che attacca la pelle in modo subdolo, causando ustioni chimiche spesso mortali, e che lasciano alle sopravvissute deturpazioni permanenti. Sono danni che riscontro soprattutto sulle donne, poiché stanno sedute nel centro del gommone, posto in cui il liquido si concentra, mentre gli uomini si siedono solitamente sui bordi pensando a proteggerle dal mare. È questa l’unica vera malattia grave che rilevo con preoccupante costanza».
Le sue parole, pacate e commosse ma anche ferme nel sostenere la necessità di salvare le persone («non i migranti o gli africani, le persone»), sono quelle di chi ha visitato più 350.000 di quelle persone, che le ha accolte, curate e ascoltate. Di chi vuole affermare con forza che il porto di Lampedusa «non è chiuso e non lo sarà mai, perché siamo pescatori, marinai: sappiamo che quel mare è bellissimo e crudele, così come sappiamo che è ancor più crudele l’indifferenza di fronte a questo fenomeno, soprattutto da parte dell’Europa». Nel mentre, ricorda che «noi italiani siamo bravi nell’accoglienza, anche se non lo siamo molto nell’integrazione».
Accoglienza e integrazione che, non si può tacere, fanno anche i conti con la paura, anche sotto il profilo sanitario. L’intervento della dottoressa Giuseppina Napoletano, referente per la Regione Veneto del “Progetto per la sorveglianza e la prevenzione delle patologie legate ai viaggi e all’immigrazione”, è parso rassicurante in tal senso. Focalizzandosi sui dati a disposizione della Regione Veneto per la tubercolosi, ad esempio, negli ultimi vent’anni è evidente che l’incidenza della malattia è in forte diminuzione (dai 598 casi del 1997 ai 332 del 2017) e non è stato rilevato alcun rilevante incremento dell’incidenza del virus tra i richiedenti asilo.
A chiudere gli interventi, abilmente moderati da Andrea Pernice, Past Governor del Distretto 2041 nonché editore e direttore della rivista Rotary Italia – è stato monsignor Bruno Fasani, giornalista e Prefetto della Biblioteca Capitolare di Verona che, pur mettendo in guardia da certo «buonismo che è in realtà speculazione», ha voluto rilevare come il fenomeno migratorio sia diventato, in Europa, un problema d’identità. «Abbiamo ridotto l’Europa a una questione di mercato – ha ammonito – creando così il presupposto di una colonizzazione ideologica. Ma non è colpa di chi arriva con la propria cultura, quanto di chi non è stato capace di difendere la propria». Un appello alla responsabilità, a disciplinare e a gestire la dignità. Di chi arriva, ma anche di chi accoglie.

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